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REWIND 2 REWINE: da un anno all'altro con i GVC

  • Immagine del redattore: Nello Gatti
    Nello Gatti
  • 5 ago
  • Tempo di lettura: 9 min

Aggiornamento: 5 ago

Se dico Canavese, a cosa pensi? Probabilmente a nulla. Non è una provocazione, ma quasi un dato storico: nel 1904 una guida scriveva che “il Canavese non ha mai avuto confini certi, né in geografia, né in storia”.


Ma se dico Serra Morenica, balmetti, Ivrea, potresti aver identificato un confine e due colori: rosso Nebbiolo e bianco Erbaluce. Il primo è opaco, pensieroso e solitario, mentre il secondo brilla in collina solo quando si sente sicuro, mentre si nasconde sotto falso nome quando è colto fuori dalla propria area di comfort (o DOCG).


Sono terre di borghi arroccati e castelli spettinati dal vento, dove un manipolo di artigiani del vino ha deciso di cambiare la trama, diventando come nell’opera di Pirandello “personaggi in cerca d’autore”. Tra pergole sospese e muretti a secco, questi giovani creano cultura fuori dal cemento urbano, ripristinando ad ogni vendemmia quel mosaico sbiadito dove risiede l’ingegno.


Chi sono i GVC

Una frase mi è rimasta impressa: “qui si andava all’Olivetti per cercare lavoro, mentre oggi siamo noi a lavorare per ospitare un evento all’Olivetti”. È di Gualtiero Onore, tra i più giovani del gruppo, e marca una sottile ma profonda linea che separa due epoche: da terra di lavoro a lavoro per la terra, dove la produzione industriale si è fermata per sempre e l’unico motore acceso è quello del riscatto agricolo.


Si sono ritrovati da Caino, un locale divenuto poi la loro sede, per convincersi che, tra inerzie e inutili silenzi, bisogna fare qualcosa, altrimenti, come cantava Daniele Silvestri, “più in basso di così, c’è solo da scavare”.


Così sono passati a una ventina di membri, tra microscopiche e piccole realtà fedeli a 10 nodi di un Manifesto, diventando la normale evoluzione di una società che per scelta, hobby o negligenza, non ha trovato scuse per dedicarsi (o tornare) alla vigna per amor di territorio, anche a scapito della propria convenienza.


E Rewine?

Potrebbe essere un incontro, un evento, un ciclo che si apre e poi si chiude, ma voglio pensare sia soprattutto questo:


il loro guanto di sfida verso un mondo che corre e non si gira più a guardare tra le fessure della pietra e i loro sforzi fisici, mentre il vento gelido delle Alpi soffia tra i loro ricordi e sogni di riscatto, in un’epoca dove il marketing fa rumore solo quando si trascina addosso il carrozzone degli anni ’90 e gli investimenti ti obbligano a raggiungere certificazioni e classifiche.


Qui non troverai nulla di tutto ciò, per necessità o per scelta, ma quel senso di coesione, di collaborazione spontanea, di metafora territoriale, di condivisione intellettuale… credimi, sono da ammirare oltre ogni punteggio o recensione tecnica. Rewine è un assalto ai clichè e alle convenzioni che hanno, anno dopo anno, appiattito i sentimenti che legavano il vino all’uomo e con essi, la loro reale convivenza.


E io?

Da circa due anni sono al fianco di questi ragazzi per colpa di Rewine, ma come ci suggerisce il gioco di parole, occorre un passo indietro per capire che non è stata né la fine né l’inizio, bensì un lungo nastro da riavvolgere fatto di segnali che giorno dopo giorno trovano per osmosi pareri, gratificazioni e critiche, nell’augurio che prima o poi, quando avremo smesso di parlare di qualità/prezzo e spostato il dito dalla cartina delle Langhe, ci si possa soffermare su queste “mani pensanti”, così come sono state definite da Marco Peroni.


Testimone del “dietro le quinte” e responsabile della loro comunicazione a cavallo tra la quarta e la quinta edizione di Rewine, questo racconto vuole permettere a chiunque si troverà davanti una loro bottiglia, un pezzetto di narrazione collettiva, cercando di racchiudere tutto ciò che non può esprimere l’etichetta.


Preparate abiti pesanti e scarpe comode quindi, si sale su in Canavese:

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Ciclo 1: L’incontro con l’altro Canavese

L'aria di Ivrea, che di solito sa di montagna e di nebbia, quel giorno mi ha travolto con una potenza che non avevo previsto. Forse è il caldo, che arriva più in fretta di quanto ci si aspetti. Forse il tempo che sembra impazzire, o forse è il fatto che quest'anno c'è qualcosa in più che mi lega a questo territorio. Sono passati circa 10 anni dal mio ultimo soggiorno qui, alla ricerca di fonti e notizie sull’Olivetti di Adriano, il tema della mia tesi di Laurea in Economia.


Giravo tra i viali che ancora traspiravano quella cultura e quel senso agiato di chi ha vissuto una condizione particolare, come una bolla, mentre il Prof. Franco Ferrarotti mi supportava nel reperire documenti e trasmettermi testimonianze dirette di quell’epoca, ormai così lontana a guardare lo scheletro della fabbrica dove un tempo andava in scena l’innovazione, il teatro, la cultura, il bello.


È il gennaio del 2024 quando una voce amica, quella di Giorgio Gnavi, mi chiama per invitarmi a conoscere un altro Canavese, fatto di piccoli produttori, teste pesanti e pensieri scalpitanti. Quando mi hanno chiesto di diventare direttore artistico di Rewine, l'evento che celebra i loro vini, ho subito pensato che avrei dovuto fare un passo indietro per comprendere veramente chi avevo davanti e come poterli supportare.


E così ho fatto, immergendomi nelle storie di questa terra, visitandoli in Cantina e radunandoci nei bar, fuori dalle stazioni e a casa loro, mentre partono le prime comunicazioni di annuncio data e location:


17 maggio alle Officine H, Ivrea.


Perplessità sulla data a parte, dove ironia della sorte l’Alto Piemonte fa coincidere le date della propria manifestazione, restano da sciogliere alcuni nodi su come organizzarsi per rendere Rewine un evento che sappia accogliere, includere e offrire uno spaccato di Canavese ripristinando quel senso di comunità che, non a caso, sarà ospitata proprio in casa Olivetti.


Al centro del gruppo c’è il confronto quotidiano: in cantina si prestano attrezzi, si scambiano esperienze, si confrontano sulle pratiche più sostenibili, ma sulla comunicazione, ahimè, siamo agli albori. Confesso di non aver mai conosciuto tanti giovani così distanti dal mondo dei social e del digital marketing.


I Giovani Vignaioli Canavesani hanno la determinazione giusta, ma devono affrontare sfide locali e globali, questioni economiche e legate alla produzione. Insomma, sono il portavoce di uno dei territori meno noti della propria regione dove i produttori sono alle prese con lavori pesanti, spesso solitari, dove la montagna non è solo paesaggistica, ma anche un confine culturale verso l’esterno.

Comincia la salita, in marcia!

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Ciclo 2: Conoscere per migliorarsi

Figli di resistenza, di lotte e di rivolte che da secoli si tramandano tra sangue, sudore ed arance gettate in faccia, sono i piccoli (almeno anagraficamente) uomini e donne che fanno della propria produzione un messaggio territoriale collettivo, fatto di vino e gesti semplici.


C’è chi lo fa per mestiere e chi per la prima volta, c’è chi ha ereditato un pezzo di vigna dai familiari e chi non dispone delle attrezzature, ma c’è un filo conduttore che li unisce tutti: essere un pezzo di questo puzzle vitivinicolo chiamato Canavese. Le etichette sono confuse, le produzioni minuscole e i mercati una grande incognita, ma nonostante questa (apparente) caotica presentazione, ognuno ha un ruolo ben definito in questa scenografia e i ruoli assegnati, per quanto siano di natura prevalentemente istituzionale che di reale peso politico, ci lasciano intravedere un certo pragmatismo in questo che è un gruppo motivato da grinta, coesione e disprezzo delle convenzioni.


Trascorro diverse giornate insieme a Gian Marco Viano, il loro Presidente, e tantissime altre con Gualtiero Onore, il segretario, ma oltre alla “carica” è affascinante scoprire giorno dopo giorno le loro anime, a volte tenui e fiduciose, altre rigide e diffidenti, mentre sono ormai legato a doppio filo a una parte di questi produttori nel frattempo che le idee si convertono in azioni, dalla carta al file, mentre le bozze diventano annunci, articoli, manifesti e grandi aspettative per questa edizione che, a detta dei produttori stessi, non ha mai visto un tale livello di organizzazione e potenza mediatica.

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Ciclo 3: la strada che porta a Rewine

Le colline moreniche non sono amichevoli, il terreno è scosceso e il clima può essere un nemico. Ma proprio a causa di queste condizioni, ecco che in questi territori dove una volta si produceva la canapa, si aguzza anche l’ingegno. La pergola e il muretto a secco, la diga e il balmetto, ecco cosa sono riusciti a modellare gli intrepidi canavesani nel corso dei secoli sfidando la montagna. Salendo su a Carema la vite è quasi sospesa nel vuoto, mentre avvicinandomi al lago mi hanno raccontato che molti di loro hanno dovuto riadattare le pratiche agricole a causa dei cambiamenti climatici. Insomma, grandi differenze anche all’interno del piccolo Canavese e grandi progetti che vedono la luce un passo alla volta, a fuoco lento, per scaldarsi poco alla volta senza il rischio di bruciarsi.


Ma perchè non se ne parla? Ecco, siamo qui proprio per questo: farlo sapere.

Alla richiesta di “chiamare un influencer per dare visibilità al territorio e all’evento” potete immaginare la mia reazione... e dopo aver ricevuto il preventivo per un set di 3 storie+reel di recap a 2.900 Euro, scontato a 2.650, potete immaginare la nostra decisione unanime.


Per questo e altri motivi, si è deciso di comune accordo, di proseguire verso altre strade: redazionali, istituzionali, associative… insomma dovevamo rafforzare la macchina e farlo a budget limitato, sfruttando quel poco di database clienti che avevamo dall’anno scorso e interagendo con le varie scuole di Sommelier, associazioni culturali, Istituzioni locali, persino Pro Loco, pur di far sentire la nostra voce e portare a casa la notizia.


Non nascondo che questo è stato un periodo ricco di riconoscimenti e gratificazioni, ma anche di grandi assenteismi e tragicommedie all’italiana, dal momento che, in previsione dell’evento, eravamo alla ricerca non tanto di sponsor economici o tecnici, bensì di persone e personalità in grado di supportare la crescita di questo modello che non voleva solo rappresentare una “festa del vino”, bensì convertire il territorio in distretto agroalimentare, turistico, culturale, sperando che qualcuno anche fuori regione si interessasse finalmente alla causa piemontese dei “figli di un Dio minore”.



Ciclo 4: Tempi duri o tempi maturi?

La quarta edizione di Rewine va in onda tra un incoming di giornalisti, un convegno dove Oscar Farinetti è la ciliegina sulla torta, una cena conviviale dove si alternano premi a canzoni di Johnson Righeira e la presenza dei produttori di Erbaluce extra-territorio ai banchi d’assaggio della domenica. Insomma, un mix perfetto che mi ha fatto capire quanto si è fatto e quanto ancora c’è da fare.


Tra i tanti segnali positivi, ho notato che la gente viene, assaggia, impara a conoscere il vino e si innamora di queste persone ad ogni bottiglia, a ogni tavolo, a ogni calice.


I vini hanno una “linea guida”, sono assaggiati tra di loro a più riprese e non manca una lucida (quanto incredibile) autocritica da parte loro. In questo modo hanno definito negli anni un canone “classico” per definire le produzioni locali, specie se ci si orienta sulle etichette di Nebbiolo, solitamente meno robusti e terrosi dei cugini a sud. Sull’Erbaluce invece resta un’incognita: Erbaluce chi? C’è chi lo vorrebbe “libero” e chi, rientrando nella denominazione, è preoccupato più del suo sviluppo tecnico che di questa magagna burocratica che lo vede racchiuso nel nome e per conto di una piccola circoscrizione. Si lanciano provocazioni, ma ciò che resta è una sequenza di espressioni ancora poco costanti tra loro dove l’obiettivo primario è quello di comprendere il territorio in funzione del vitigno, sradicandolo da alcune produzioni poco gratificanti del passato che ancora riaffiorano nell’immaginario collettivo di qualche vecchio bevitore. Si parla anche di zonazione e processi che potrebbero, prima o poi, delineare uno spaccato ben più ampio di questa regione ma al momento l’obiettivo è quello di esistere, tracciare un solco e poi, continuare a coltivare quest’idea di Canavese.

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Ciclo 5: l’attesa del piacere

Chiuso il sipario, si lavora a stretto giro per programmare la nuova edizione, quella di aprile 2025. Il manifesto diventa un testimone culturale e la spinta che avevano mostrato i giovani vignaioli adesso deve battere la prova del tempo, con uno scenario vitivinicolo sempre più esposto a pressioni e cautele. Ad Ivrea passa il carnevale. Quello di Caterina Caselli finiva male, mentre questo ci lascia una morale, come a fine lettura di un libro.


Da Caluso a Carema, passando per Serra e borgate affacciate sul Lago di Viverone, la nuova generazione di vignaioli canavesani interpreta il vino come un racconto d’epoca: ogni grappolo una storia di suolo morenico o di pergola che resiste al caldo, ogni bottiglia un capitolo di territorio e intreccio familiare. Tra Erbaluce spumante, fermo, passito e Nebbiolo di collina, da solo o in compagnia di altri vitigni coraggiosi che non temono il mercato globale perchè vogliono aggredirlo.


Il Canavese è una poesia lunga quanto i muretti a secco che gli conferiscono la sua geometria arcaica. E i Giovani Vignaioli Canavesani ne sono gli eroi contemporanei: uomini e donne che hanno scelto di stare con le mani nella terra, la testa piena di idee e il cuore in collettivo.
Rewine è il nastro che li riavvolge ad ogni edizione, non per rimanere ancorati al passato, ma per ripartire con la forza della memoria. È un atto di coraggio poetico che punta a ridefinire il suo percorso storico, tra le mura del loro Castello non per espugnarlo, ma per accogliere i suoi sostenitori.

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Ciclo ?: È finita si dice alla fine

E ora che conosci la loro storia, il mio lavoro potrebbe considerarsi terminato? Non saprei.


Sto imparando che il nostro lavoro non è solo raccontare storie, ma contribuire a interpretarle e farle risuonare. E poi, devo mantenere una promessa fatta al mio caro Prof. che a 96 anni suonati mi aveva mandato i suoi “rallegramenti” leggendo sul giornale della mia nomina in Canavese. Oggi non c’è più, ma questa terra può ancora portare avanti quel messaggio di “concreta utopia”.


Dedicato all’anima del Prof.Franco Ferrarotti e all’amico Giorgio Gnavi

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