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LA GENESI DI UN CONDOTTIERO - le battaglie di una DOC

Una desueta pioggia di luglio, la città geniale di D’Annunzio e una bandiera: è così che inizia la genesi di un condottiero. Un vino o un guerriero? Tutti e due, dato che a Bergamo, durante i giorni di “Evviva Valcalepio” sono andate in scena diverse attività di promozione per portare alla luce entrambi e allora eccoli qui, Bartolomeo Colleoni e il Valcalepio rosso, sulle antiche mura della città alta per una degustazione tra spade e calici perchè a quanto pare le storie, le influenze e soprattutto le conquiste per i territori non sono mai finite!


PREFAZIONE

Di stirpe longobarda, nato sulle sponde del fiume Adda e noto per il suo caratteraccio, il Colleoni rappresenta meglio di chiunque altro la sua metafora enologica: il Valcalepio DOC. Un controsenso, dato che esiste anche una DOC Colleoni, vero? Come vedremo lungo il corso di questa degustazione, sì, lo è e ce ne saranno tante altre. Valcalepio, dal greco "terra dolce" ma nei fatti, come il suo capitano, un guerriero appassionato, talvolta irruento, alla continua ricerca di azioni spettacolari per raggiungere la gloria eterna ma dolce proprio no. Sono entrambi a capo di un territorio senza fede unica e costantemente in lotta su due fronti: il primo tra Milano e Venezia mentre il vino tra Cabernet Sauvignon e il Merlot. Così, dal sangue versato al vino bevuto il passo è breve, ma non semplice… occorre tornare indietro per comprenderlo meglio, senza scomodare il solito Plinio il Vecchio e quelle storie romanzate in cui “vissero tutti felici e contenti” perché oggi, con l’assaggio di 6 Valcalepio rosso che ricordo possono essere composti da Merlot per un massimo del 75% e da Cabernet Sauvignon al 60%, c’è da sudarsela nel vero senso della parola e attenzione a non finire sotto le lame della popolazione locale definendoli “tagli bordolesi” o “vitigni internazionali” perchè qui, complice la storia, parliamo da tempo di vino “niger”!


GLI INIZI INCERTI

La nascita del Colleoni è incerta, come lo è per l’appunto la viticoltura in questa zona. Diverse testimonianze si susseguono e contraddicono, portandoci a dichiarare che la vite è stata portata dai romani una volta scacciati i galli, mentre il nostro galletto del tardo Medioevo, che non vuol farci sapere quanti anni ha realmente, ci lascia intuire da alcune fonti che sia nato nel 1395. Era la non Italia dei Signori, all’alba del Rinascimento, ignorante sul nuovo mondo e talmente bella da essere ripetutamente minacciata da guerre per accaparrarsene un pezzetto. Di vino qui se ne parlava e produceva già da tempo tant'è che nel 1398, quando il Colleoni aveva 3 anni per intenderci, l’area è stata oggetto di un violento saccheggio da parte dei Guelfi i quali inferirono sui vigneti di Scanzorosciate, di proprietà Ghibellina. Ma in tutto ciò da che parte stava la famiglia del Colleoni? Guelfa! Ahi Ahi Ahi! Proprio qui, dove l’Azienda Magri Sereno oggi coltiva i suoi 8 ettari si era consumata la tragedia ma, troppo piccolo il Colleoni per attribuirgli le colpe e troppo giovane il vino per sentenziare giudizi lapidari, lasciamo esprimere entrambi nel corso del tempo, così da poter verificare la stoffa del guerriero che, nel caso del Valcalepio Doc rosso, cuoce ancora sotto i segni della torrida estate datata 2022.


IL VENTO DA EST

Grazie ai suoi successi in battaglia, il Colleoni viene notato e assoldato dai veneziani. Compra casa e difende la dimora (intesa come Bergamo) dall’assedio milanese, distinguendosi inoltre nell’assalto a Cremona dove affianca il Carmagnola, di fiera origine contadina, che nello stemma aveva 3 capretti, mentre sappiamo che il Colleoni aveva 3 palle… che coppia! Fatto sta che a seguito della battaglia, il Carmagnola viene decapitato mentre il Colleoni assunto a tempo pieno, con un nuovo ruolo e una busta paga molto allettante. Come i grandi condottieri, sogna la gloria eterna e immense ricchezze. Saranno soddisfatte solo in parte, fomentando un rapporto tormentato da continue incomprensioni molto simile alle odierne relazioni tra datore e lavoratore, lo stesso che marca i tratti di questo vino al primo sorso scontroso, quasi presuntuoso. Ma una volta dissipato il rancore, ecco che nell’annata 2019 dell’Azienda Rocchetta torna quella benevolenza veneziana che aveva voluto convertire le fortezze militari in case civili, così da permettere all’attuale timone dell’Azienda, la Famiglia Buelli, un’espressione orientale che benefici del lago, del fiume e della montagna, portando con sé una brezza che integri frutto e freschezza, ragione e passione.


L’OFFERTA CHE NON SI PUO’ RIFIUTARE

Insoddisfatto, con una casa da mantenere e la promessa di una promozione che non si concretizza mai, il Colleoni viene raggiunto dai milanesi con un’offerta che non si può rifiutare. Il Visconti, a capo del team meneghino, volendosi accaparrare il capitano di ventura lancia un’offerta destinata a sbaragliare l’allora calciomercato e gli offre: un castello, una nuova armata e svariati gioielli alla moglie. L’attaccante bergamasco, facendo infuocare la tifoseria veneziana che lo considererà d’ora in avanti un mercenario, accetta. Indossata quindi la casacca dei Visconti di Milano, per qualche strano motivo sono gli anni in cui i vini bergamaschi si affermano nelle piazze meneghine, trovando, allora più di adesso, il proprio mercato di riferimento nel capoluogo lombardo. Ma il mercato è infame come lo è a volte il destino e il Colleoni, per un sospetto tradimento, finisce in carcere. Qui ci sarà modo di riflettere, trovandoci come ora all’interno di un ex convento di frati che dalla propria formula Merlot 60% e Cabernet 40% vogliono imprimere tutto il lavoro meticolosamente raggiunto nella famosa estate 2020, dove ricordiamo, anche noi ci siamo ritrovati in un certo senso rinchiusi. L’Azienda Lurani Cernuschi ci fa però sapere che dal torrente che delimita i suoi vigneti, il Tornago, fa ritorno il Colleoni che è riuscito miracolosamente ad evadere di prigione. Concediamoci quindi un sorso prima di ripartire da qui.


ORGOGLIO E PREGIUDIZIO

Tra incudine e martello, il Colleoni si ritrova ad essere uno stimato professionista di cui però non ci si può fidare. Ma la grande occasione non tarda ad arrivare e nell’ennesimo tentativo di invasione da fuori, il guerriero dimostra la sua abilità nelle battaglie di Bosco Marengo contro i francesi e a Romagnano Sesia e Borgomanero contro i Savoia, tanto che Carlo il Temerario di Borgogna cerca di assicurarsene il servizio, ma lui non accetta perchè non ama la Borgogna con i suoi Pinot Noir… lui vuole solo taglio bordolese! Così, rivelando il suo vero volto, il guerriero tanto criticato riesce a farsi comprendere a titolo universale, come questo vino proposto nella sua versione classica assoluta, allevato su una micro parcella di appena 1 ettaro nel comune di Nembro dove il mix storico-culturale prevede oltre al tramandarsi della lunga tradizione vitivinicola locale, il recupero dei Ronchi da parte della Cantina Orsini.



THE DAY AFTER FILLOSSERA

Bartolomeo Colleoni d'Andegavia, come gli piaceva essere chiamato, muore nel suo Castello di Malpaga il 3 novembre 1475, giusto in tempo per non vedere la fine di un’epoca e un tipo di condotta ormai agli sgoccioli. Lo stesso accade in campo vitivinicolo circa 150 anni fa, con la nascita della scuola enologica di Grumello del Monte nel 1874 che segna un avanzamento nella tecnica, nello studio e nella superficie vitata, portando il territorio bergamasco a picchi mai raggiunti fino ad ora. Ma il resto del mondo è in subbuglio e i cugini francesi mettono in guarda l’Italia: attenti alla Fillossera! I segnali sono molto preoccupanti e nonostante si sia fatto di tutto per evitarlo,  cala il parassita anche sul nord Italia e fa bottino della quasi totalità delle piante, riducendo l’opera di viticoltura a un cumulo di macerie e a rischio estinzione. Si salveranno in pochi, con le viti abbattute dall’insetto e le vite spezzate da due guerre mondiali. La scuola chiude per sempre e tocca ai superstiti, ancora una volta, rimboccarsi le maniche e cambiare tutto, o forse come nel Gattopardo “cambiare tutto per non cambiare niente” perché è proprio questo il momento in cui si decide di ripartire dall’origine, dalla terra, mettendo a punto quello storico blend che segnerà la nuova identità della Valcalepio: il vino niger. Ma come abbiamo compreso, questo territorio è costantemente tormentato da due poli e se durante il secolo breve non erano più Milano o Venezia a contendersi l’area, lo sono adesso natura e industria. Lo sa bene Pecis, realtà disposta ai piedi della collina di San Paolo d’Argon su un antico oratorio romanico, nata dopo le fortune in campo industriale dell’omonimo fondatore che dopo il successo è tornato alla campagna, impiantando e curando vigneti strappati proprio all’industria, all’incuria e all’abbandono. La sua è una 2018 con più botte grande, circa due anni di rovere francese, e più Merlot, circa 65%, segno che in quell’anno c’era da puntare di più sulla Francia. Non a caso, il mondiale quell’estate l’hanno portato a casa loro!


DOC E PACE

Dopo i ruggenti anni 60’ e il piombo dei 70’, la metamorfosi dettata dall’industria e il cambio generazionale gettano le basi per fare quadrato intorno al vino e istituire la DOC che vede la luce nel 1976,  assecondando il cambio di abitudine dei consumatori e delle tecniche che hanno ridotto la superficie dedicata a vigneto di ben quattro volte, diminuendo altresì le rese e portando a coniare anche qui la frase, oggigiorno fin troppo diffusa, del “meno quantità, più qualità”. Ma il vino per affermarsi ha, purtroppo o per fortuna, non solo bisogno di tecnica e parametri enologici, ma comunicazione, ascolto, flessibilità, adattamento, dove il fine è un triangolo equilatero tra produzione, mercato e natura. Tornando al nocciolo della questione e nel cuore del territorio, da un’antica villa del XV secolo sita a Scanzorosciate dove risiede la Cantina Celinate, si lancia quest’oggi l’ultimo messaggio idroalcolico che non vuole né convincermi né mentire, ma farsi ascoltare, perchè ogni etichetta porta con sè una goccia di storia… e oggi mi va bene così.



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